lunedì 27 settembre 2010

In una notte


Se mi senti/ spalanca le persiane ed affacciati/ nel cuore della notte/ io sarò giù nel vicolo/ come da secoli i fantasmi/ a cantare d’amore, / come da secoli il maestrale/ a carezzare le pietre./ Se ti pare di scorgermi/ giù dalle scale precipitati/ scendi al portone/ io sarò l’ombra all’angolo/ il gatto sorpreso/ il ciottolo luccicante;/ ma se mi vedi fuggire/non mi fermare/ non m’inseguire:/ la serenata è finita/ come in una notte tutta la vita/ come in una notte tutta la vita…

venerdì 24 settembre 2010

L'invincibile gigante


di Raffaele Sari Bozzolo


Le icone di Alghero sono certamente i profili più monumentali e celebri: il campanile della cattedrale di S.Maria, la cupola policroma della chiesa di San Michele, gli imponenti bastioni della roccaforte, il massiccio promontorio di Capo Caccia, le grotte di Nettuno. Anche di notte alcuni di questi elementi sono distinguibili, evidenziati da fari che ne illuminano le inconfondibili sagome. Ma dal mare lampi di luce bianca, a frequenza regolare, da 150 anni testimoniano la solitaria e silenziosa presenza di un altro elemento assurto, per merito e costanza, a simbolo del nostro territorio: il faro di Capo Caccia, eretto proprio in cima allo strapiombo che segna l'estremità del golfo di Porto Conte e sovrasta l’ingresso delle Grotte di Nettuno.
Il faro, che ogni 20” ridona la sua bianca carezza alla stessa spiaggia dalla quale quale ci siamo soffermati ad ammirarlo, ha ispirato pittori e poeti e certamente ha affascinato e rapito innumerevoli sguardi, rimanendo un discreto compagno della storia di questa città e della quotidianità della sua gente, scandendone il tempo, come un cuore pulsante.
Il nostro patrimonio storico ed artistico non è fatto solo di vestigia medioevali o reperti nuragici, ma anche di edificazioni moderne, relativamente recenti, che nell’arco di questi ultimi più frenetici secoli hanno meritato un posto particolare tra i nostri affetti; ecco perché il faro di Capo Caccia deve essere orgogliosamente compreso tra i nostri tesori.
Si tratta di un grande edificio di tre piani intonacato in calce bianca e racchiuso dalla gabbia di Faraday che lo protegge dai fulmini conferendogli, a distanza, un particolare aspetto. La torre del faro è di circa 24 metri che, sommati, all'imponente altezza del promontorio, lo elevano a ben 186 metri sul livello del mare, facendone il faro più alto d'Italia.
Costruito nel 1864 ha prestato un servizio ininterrotto e prezioso, rappresentando una guida luminosa attraverso un secolo e mezzo di evoluzione tecnologica: dall’acetilene, ai vapori di petrolio, fino all’alimentazione elettrica (1861) Oggi monta un'ottica rotante, con lenti di Fresnel con 4 pannelli a 90° equidistanti tra loro di tipo O.R. 375/4 a luce bianca e lampi singoli, costruita dalla B.B.T. di Parigi nel 1951. La potente luce, prodotta da una lampada alogena da 1000 Watt, è visibile a 34 miglia di distanza e da tempo svolge anche la funzione di faro d’atterraggio per gli aerei che scendono verso l’aeroporto di Alghero.
La leggenda vorrebbe certamente che all’interno dell’imponente e solitario edificio a picco sulla scogliera di Capo Caccia si aggirasse un fantasma, ma la famiglia dell’attuale guardiano del faro non ha mai avuto sentore di coabitare con qualche altro misterioso e discreto inquilino. Il luogo è comunque d’una bellezza struggente, romantico, gotico o solare a seconda delle giornate e delle stagioni, una specie di avamposto umano sull’immensità del mare, un ermo colle leopardiano sull’infinito
Ecco dunque la sua luce tornare e ritornare, come tornano e ritornano le onde sul nostro lido, come ritornano le stagioni ed i ricordi, eccolo di nuovo lo sguardo dell’invincibile gigante che veglia su Alghero.

La chiesa scomparsa


di Raffaele Sari Bozzolo

Sull’isolotto detto della Maddalena o Maddalenetta, nel mezzo della rada di Alghero, prima che venisse eretto l’attuale faro di segnalazione costruito nel 1941, spiccava, fino alla seconda metà del XIX secolo, una chiesetta consacrata a Santa Maria Maddalena Penitente, dalla quale lo stretto lembo di terra e scogli ne derivò anticamente il toponimo.
La costruzione di questo tempio potrebbe risalire addirittura al XII sec., quando si edificò il forte della Maddalena che si affaccia sulla banchina principale del porto, a poche miglia dall’isolotto. Tale devozione si lega alla famiglia Doria, che la storiografia vuole fondatrice della nostra roccaforte, poiché essa aveva scelto come sua Santa protettrice proprio Maria Maddalena.
Della chiesetta sappiamo poco e – a dire il vero - non sembrano esserci neppure esaurienti documentazioni che confermino la descrizione più accreditata, secondo la quale essa era di base ottagonale, con un diametro di otto metri e occupava una superficie complessiva di 224 metri quadrati. Nell’interno dovevano esserci un altare maggiore dedicato a Santa Maria Maddalena e ai lati due altari minori, l’uno dedicato a San Pietro e l’altro alla Vergine di Porto Salve. La statua della Vergine di Porto Salve, oggi conservata in una nicchia dell’ingresso che dal porto immette in piazza Civica, è forse l’unico arredo sacro appartenuto a quella chiesetta giunto intatto fino a noi.
Nel 1526 la chiesetta dell’isola venne elevata al titolo canonicale quando il vescovo Michele Guglielmo Cassador fondò sei nuovi canonicati in Alghero.
Il canonico Carlo Mariotti, insegnante di fisica, fu l’ultimo sacerdote che celebrò la Messa in questa chiesetta circondata dal mare. Con una barchetta a remi, accompagnato dal suo sagrestano, vi si recava ogni domenica mattina e nei giorni di precetto. La messa qui era cara soprattutto ai pescatori, ma con l’arrivo della bella stagione, le fila dei fedeli in quel piccolo tempio s’infoltivano perché molte famiglie usavano trascorrere sull’isolotto intere giornate di festa tra spuntini, pesca e chiacchiere.
La chiesetta venne sconsacrata nella seconda metà del XIX secolo, successivamente – forse anche modificato nella sua forma esterna – la piccola costruzione funse da locale per la quarantena; definitivamente abbandonata alla furia degli elementi cadde in rovina e solo pochi brandelli dei suoi muri restarono visibili fino ai primi del ‘900.
Nel 1910 il sacerdote Don Antonio Mura lanciò la proposta alle autorità e alla popolazione di ricostruire la chiesetta, sottolineando il valore tanto simbolico, quanto architettonico di un’opera così particolare; per convincere gli scettici fece persino una campagna di volantinaggio e fece presenti i vantaggi per il turismo locale che potevano derivare da un così prezioso restauro. Nessuno raccolse la proposta e dei pochi resti del tempio non rimase traccia quando, ad un anno dall’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, praticamente sullo stesso basamento, venne costruito il faro di segnalazione che ancora oggi saluta la riva di Alghero. Segnalata nelle carte più antiche del nostro golfo, la chiesa o i suoi resti non compaiono in nessuna foto nota o realistica rappresentazione pittorica: uno strano destino per quel suggestivo avamposto della bella Alghero che compariva per primo a chi vi giungeva dal mare.