mercoledì 14 agosto 2013



 







 Come una rondine

A volte per arrivare dov'eri già
c'è bisogno di fare lunghi e tortuosi cammini
affrontare intemperie e pericoli
temprarsi al rigore del freddo
e sopportare il caldo dei deserti
percorrere infiniti tragitti
per coprire una distanza che non c'era
se non nel tuo cuore
se non nei tuoi occhi.
Ora il viaggio si è compiuto
ed era un ritorno
un semplice ma non inutile ritorno.

venerdì 16 dicembre 2011

Alghero 1821: i tragici giorni del moto del pane (parte prima)





Più volte ricostruito, il tumulto frumentario del 1821 ad Alghero resta - ad oggi - una pagina tra le più tragiche ed oscure della storia cittadina. Tra coloro che ne hanno narrato i fatti e analizzato la dinamica, i pareri sono animatamente discordanti: chi vi vede l’eroica ribellione degli oppressi, chi la cieca e ottusa violenza della folla; chi la considera una specie di ineluttabile fatalità, chi il risultato di un’azione delinquenziale pilotata da un gruppo di manigoldi, chi l’inevitabile conseguenza di un conflitto sociale. Quasi tutti però concordano nel giudicare la repressione che spense quei moti sproporzionatamente feroce. Rileggendo la sentenza del processo che condannò coloro che vennero individuati come i principali responsabili dei disordini, si prova un brivido di sgomento nel ritrovarvi una crudeltà che s’immaginerebbe esclusiva di certi verdetti dell’Inquisizione e che sembra stonare con l’idea che si ha della società ottocentesca e del suo grado di civiltà. Tinte forti e fosche dipingono i fatti di quei giorni fatali. Il 25 marzo del 1821, nelle prime ore del pomeriggio nell’attuale piazza Civica, una piccola folla di cittadini assiste al transito di numerosi carri e cavalli che trasportano grano da stipare su un veliero in partenza dall’antistante banchina del porto. Alla luce di ciò che accadrà da lì a poco, è difficile immaginare che si tratti di persone che si ritrovano lì casualmente. Da tempo in città serpeggia un certo malcontento per il carovita e lo spettro della carestia è ben presente nella memoria collettiva poiché solo cinque anni prima attanagliava gran parte della popolazione; in quello stesso anno da più parti è giunto l’eco di rivolte e moti popolari per il prezzo del pane sempre crescente. L’ennesimo rincaro dei forni cittadini e le voci di un presunto scarseggiare della farina fanno guardare con sospetto quel carico di grano locale in partenza per altri lidi; qualcuno non perde l’occasione per sobillare gli astanti, la tensione sale e la folla si stringe minacciosa intorno ai cavalli impedendogli di raggiungere la banchina dove è attraccato il veliero che ne attende il carico. La merce, regolarmente venduta dal commerciante algherese Stefano Piccinelli, destinata al pastificio Berardi e Figli di Oneglia non deve lasciare il porto. Qualcuno prende coraggio e comincia a gridare minaccioso e a scaldare gli animi di tutti prefigurando scenari di ormai prossima carestia, accusando i commercianti di ordire trame speculative ai danni del popolo. L’accusa d’affamare la gente per il proprio arricchimento è poco originale, ma sempre efficace quando si tratta di destare lo sdegno della folla. Qualcuno ha cominciato a scaricare i sacchi dai dorsi dei cavalli e a distribuire quel grano a prezzi politici. Si sta procedendo a quello che da una parte si direbbe un esproprio proletario, d’altra un furto. Nessuno sembra volerlo o poterlo impedire. La situazione è ormai precipitata. I fratelli Canellas, Antonio Luigi, Antonio Michele e Giuseppe, con il cognato Giovanni Arcai Grimenta sono alla testa dei rivoltosi e guidano il succedersi degli avvenimenti. Non solo è confiscato il carico di oltre 40 cavalli in attesa di raggiungere il veliero, ma persino quanto era già stato stipato a bordo viene scaricato. Il comandante, tale Raggio, viene costretto a consegnare ai ribelli tutto l’incartamento che giustifica la merce ed il suo trasferimento in Liguria. In questa confusione possono davvero poco persino il Regio Delegato Lavagna ed il Governatore Suni che scortati da un manipolo di soldati cercano di riportare all’ordine e alla ragione la folla, ma finendo invece insultati e malmenati devono ripiegare rapidamente. Il negoziante Piccinelli, forse ancora all’oscuro di ciò che sta accadendo, viene raggiunto in una campagna da un gruppo d’insorti che lo costringono a rientrare in città per giustificare la vendita di quel grano; di ritorno i facinorosi forzano con uno scontro violento il blocco che, all’ingresso in città, a Porta Terra, gli viene vanamente opposto da alcuni soldati dei Cacciatori La Regina. Proprio il mattino seguente, i rivoltosi ormai saldamente capeggiati dai fratelli Canellas, prendono il controllo dei due ingressi alla città murata (la porta di Terra e la porta a mare). Alghero è ancora, nonostante i suoi oltre 5.000 abitanti, una città fortezza, con un importante presidio militare e prendere il controllo degli ingressi alla roccaforte vuol dire prendere possesso della città, rovesciare l’ordine costituito, una sfida intollerabile all’autorità. Forse la folla dei ribelli, che col passare delle ore ha ingrossato le sue fila, non ha coscienza della gravità che sta assumendo quell’azione e delle terribili conseguenze che vanno maturando. Piccinelli ha la casa circondata dai facinorosi ed è praticamente loro ostaggio, così si vede costretto a consegnargli le chiavi dei magazzini dove stipa il grano. Ora chi guida i ribelli punta a sbancare tutto il possibile e rivolge il suo attacco alla casa di un altro ricco commerciante algherese, Gaetano Rossi. Sarà il salto di qualità del tumulto, da atto di ribellione estemporanea diventerà una vera e propria insurrezione e il sangue farà la sua tragica comparsa. (continua)


Raffaele Sari Bozzolo

martedì 14 giugno 2011

Che giornata

Che giornata ti sei persa,
c'era il sole di quella pedalata a Valverde
c'era il mare che t'accarezzò sulla spiaggia dei Saraceni
il cielo era infinito come quando vi volammo dentro
e l'aria sapeva di fiori e fieno
Che giornata ti sei persa
io avevo il sorriso sereno
c'erano i bambini bellissimi e giocosi
c'era quella musica che amavi
ed io avrei voluto ballarla con te
Che giornata ti sei persa.










lunedì 4 ottobre 2010

Società Operaia di Mutuo Soccorso di Alghero


Società Operaia del Mutuo Soccorso di Alghero


La Società Operaia di Mutuo Soccorso, sodalizio benemerito nel campo previdenziale ed assistenziale, ad Alghero fu fondata nel maggio del 1883; essa aveva ed ha tuttora la sua sede in via Cavour al n.61.
Il Mutuo Soccorso offriva ai suoi soci, per la maggior parte artigiani, un'assistenza medica ed un degno funerale qualora non potessero provvedere a queste spese. In casi particolari si attivava anche per raccogliere fondi da donare alle famiglie più bisognose, soprattutto in caso di premature vedovanze o gravi infortuni.
Tra i soci fondatori dell'associazione assistenziale risultano Antonio Baia Piras, Antonio Fundoni Nuvoli, Efisio Mura, Luciano Sudano.
In uno statuto datato 10 gennaio 1884 le cariche più importanti all'interno del sodalizio sono così distribuite: presidente Lorenzo Baldino, consigliere anziano Carmine Massa e segretario Francesco Cherubini.
Col passare degli anni le cariche ricoperte all'interno del sodalizio vennero affidate a personaggi illustri, probabilmente per riceverne prestigio anche se non provenivano dall'artigianato o dal mondo operaio, come quella di presidente onorario affidata al Conte Luigi di Sant’Elia e successivamente, al generale medico Giuseppe Pezzi, già Cavaliere di Malta e membro del Gran Priorato dello stesso Ordine.
E' importante e significativo ricordare che Il primo presidente dell'Associacion Italiana Sardi Uniti de Soccorros Mutuos, di Buenos Aires in Argentina, è stato Fausto Falchi, un algherese che è rimasto in carica dal 1936 al 1976.

I locali della sede
La sede ha una dimensione di poco inferiore ai 100 mq, con due accessi (uno da via Cavour ed uno dai bastioni Magellano). In essa si apprezza un’ampia sala ricavata dalla modifica di alcuni locali che originariamente sorgevano sotto la cupola della chiesa di Sant’Antonio Abate; in questa sala oggi è possibile ammirare una raccolta di riproduzioni d’epoca e di quadri originali raffiguranti, oltre ad alcuni esponenti della famiglia Savoia (Vittorio Emanuele II, Carlo Alberto, la regina Margherita), Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Verdi. Di un certo interesse, anche per il particolare genere pittorico a cui appartiene, un grande quadro risalente al Ventennio che esalta i Patti Lateranensi. Fanno cornice a queste opere, numerose foto d’epoca, documenti originali, una lapide marmorea in onore del donatore dello stabile Antonio Baia Piras e una grande raffigurazione pittorica dei simboli della Fratellanza Operaia. I locali sono stati recentemente restaurati.

lunedì 27 settembre 2010

In una notte


Se mi senti/ spalanca le persiane ed affacciati/ nel cuore della notte/ io sarò giù nel vicolo/ come da secoli i fantasmi/ a cantare d’amore, / come da secoli il maestrale/ a carezzare le pietre./ Se ti pare di scorgermi/ giù dalle scale precipitati/ scendi al portone/ io sarò l’ombra all’angolo/ il gatto sorpreso/ il ciottolo luccicante;/ ma se mi vedi fuggire/non mi fermare/ non m’inseguire:/ la serenata è finita/ come in una notte tutta la vita/ come in una notte tutta la vita…

venerdì 24 settembre 2010

L'invincibile gigante


di Raffaele Sari Bozzolo


Le icone di Alghero sono certamente i profili più monumentali e celebri: il campanile della cattedrale di S.Maria, la cupola policroma della chiesa di San Michele, gli imponenti bastioni della roccaforte, il massiccio promontorio di Capo Caccia, le grotte di Nettuno. Anche di notte alcuni di questi elementi sono distinguibili, evidenziati da fari che ne illuminano le inconfondibili sagome. Ma dal mare lampi di luce bianca, a frequenza regolare, da 150 anni testimoniano la solitaria e silenziosa presenza di un altro elemento assurto, per merito e costanza, a simbolo del nostro territorio: il faro di Capo Caccia, eretto proprio in cima allo strapiombo che segna l'estremità del golfo di Porto Conte e sovrasta l’ingresso delle Grotte di Nettuno.
Il faro, che ogni 20” ridona la sua bianca carezza alla stessa spiaggia dalla quale quale ci siamo soffermati ad ammirarlo, ha ispirato pittori e poeti e certamente ha affascinato e rapito innumerevoli sguardi, rimanendo un discreto compagno della storia di questa città e della quotidianità della sua gente, scandendone il tempo, come un cuore pulsante.
Il nostro patrimonio storico ed artistico non è fatto solo di vestigia medioevali o reperti nuragici, ma anche di edificazioni moderne, relativamente recenti, che nell’arco di questi ultimi più frenetici secoli hanno meritato un posto particolare tra i nostri affetti; ecco perché il faro di Capo Caccia deve essere orgogliosamente compreso tra i nostri tesori.
Si tratta di un grande edificio di tre piani intonacato in calce bianca e racchiuso dalla gabbia di Faraday che lo protegge dai fulmini conferendogli, a distanza, un particolare aspetto. La torre del faro è di circa 24 metri che, sommati, all'imponente altezza del promontorio, lo elevano a ben 186 metri sul livello del mare, facendone il faro più alto d'Italia.
Costruito nel 1864 ha prestato un servizio ininterrotto e prezioso, rappresentando una guida luminosa attraverso un secolo e mezzo di evoluzione tecnologica: dall’acetilene, ai vapori di petrolio, fino all’alimentazione elettrica (1861) Oggi monta un'ottica rotante, con lenti di Fresnel con 4 pannelli a 90° equidistanti tra loro di tipo O.R. 375/4 a luce bianca e lampi singoli, costruita dalla B.B.T. di Parigi nel 1951. La potente luce, prodotta da una lampada alogena da 1000 Watt, è visibile a 34 miglia di distanza e da tempo svolge anche la funzione di faro d’atterraggio per gli aerei che scendono verso l’aeroporto di Alghero.
La leggenda vorrebbe certamente che all’interno dell’imponente e solitario edificio a picco sulla scogliera di Capo Caccia si aggirasse un fantasma, ma la famiglia dell’attuale guardiano del faro non ha mai avuto sentore di coabitare con qualche altro misterioso e discreto inquilino. Il luogo è comunque d’una bellezza struggente, romantico, gotico o solare a seconda delle giornate e delle stagioni, una specie di avamposto umano sull’immensità del mare, un ermo colle leopardiano sull’infinito
Ecco dunque la sua luce tornare e ritornare, come tornano e ritornano le onde sul nostro lido, come ritornano le stagioni ed i ricordi, eccolo di nuovo lo sguardo dell’invincibile gigante che veglia su Alghero.