venerdì 16 dicembre 2011

Alghero 1821: i tragici giorni del moto del pane (parte prima)





Più volte ricostruito, il tumulto frumentario del 1821 ad Alghero resta - ad oggi - una pagina tra le più tragiche ed oscure della storia cittadina. Tra coloro che ne hanno narrato i fatti e analizzato la dinamica, i pareri sono animatamente discordanti: chi vi vede l’eroica ribellione degli oppressi, chi la cieca e ottusa violenza della folla; chi la considera una specie di ineluttabile fatalità, chi il risultato di un’azione delinquenziale pilotata da un gruppo di manigoldi, chi l’inevitabile conseguenza di un conflitto sociale. Quasi tutti però concordano nel giudicare la repressione che spense quei moti sproporzionatamente feroce. Rileggendo la sentenza del processo che condannò coloro che vennero individuati come i principali responsabili dei disordini, si prova un brivido di sgomento nel ritrovarvi una crudeltà che s’immaginerebbe esclusiva di certi verdetti dell’Inquisizione e che sembra stonare con l’idea che si ha della società ottocentesca e del suo grado di civiltà. Tinte forti e fosche dipingono i fatti di quei giorni fatali. Il 25 marzo del 1821, nelle prime ore del pomeriggio nell’attuale piazza Civica, una piccola folla di cittadini assiste al transito di numerosi carri e cavalli che trasportano grano da stipare su un veliero in partenza dall’antistante banchina del porto. Alla luce di ciò che accadrà da lì a poco, è difficile immaginare che si tratti di persone che si ritrovano lì casualmente. Da tempo in città serpeggia un certo malcontento per il carovita e lo spettro della carestia è ben presente nella memoria collettiva poiché solo cinque anni prima attanagliava gran parte della popolazione; in quello stesso anno da più parti è giunto l’eco di rivolte e moti popolari per il prezzo del pane sempre crescente. L’ennesimo rincaro dei forni cittadini e le voci di un presunto scarseggiare della farina fanno guardare con sospetto quel carico di grano locale in partenza per altri lidi; qualcuno non perde l’occasione per sobillare gli astanti, la tensione sale e la folla si stringe minacciosa intorno ai cavalli impedendogli di raggiungere la banchina dove è attraccato il veliero che ne attende il carico. La merce, regolarmente venduta dal commerciante algherese Stefano Piccinelli, destinata al pastificio Berardi e Figli di Oneglia non deve lasciare il porto. Qualcuno prende coraggio e comincia a gridare minaccioso e a scaldare gli animi di tutti prefigurando scenari di ormai prossima carestia, accusando i commercianti di ordire trame speculative ai danni del popolo. L’accusa d’affamare la gente per il proprio arricchimento è poco originale, ma sempre efficace quando si tratta di destare lo sdegno della folla. Qualcuno ha cominciato a scaricare i sacchi dai dorsi dei cavalli e a distribuire quel grano a prezzi politici. Si sta procedendo a quello che da una parte si direbbe un esproprio proletario, d’altra un furto. Nessuno sembra volerlo o poterlo impedire. La situazione è ormai precipitata. I fratelli Canellas, Antonio Luigi, Antonio Michele e Giuseppe, con il cognato Giovanni Arcai Grimenta sono alla testa dei rivoltosi e guidano il succedersi degli avvenimenti. Non solo è confiscato il carico di oltre 40 cavalli in attesa di raggiungere il veliero, ma persino quanto era già stato stipato a bordo viene scaricato. Il comandante, tale Raggio, viene costretto a consegnare ai ribelli tutto l’incartamento che giustifica la merce ed il suo trasferimento in Liguria. In questa confusione possono davvero poco persino il Regio Delegato Lavagna ed il Governatore Suni che scortati da un manipolo di soldati cercano di riportare all’ordine e alla ragione la folla, ma finendo invece insultati e malmenati devono ripiegare rapidamente. Il negoziante Piccinelli, forse ancora all’oscuro di ciò che sta accadendo, viene raggiunto in una campagna da un gruppo d’insorti che lo costringono a rientrare in città per giustificare la vendita di quel grano; di ritorno i facinorosi forzano con uno scontro violento il blocco che, all’ingresso in città, a Porta Terra, gli viene vanamente opposto da alcuni soldati dei Cacciatori La Regina. Proprio il mattino seguente, i rivoltosi ormai saldamente capeggiati dai fratelli Canellas, prendono il controllo dei due ingressi alla città murata (la porta di Terra e la porta a mare). Alghero è ancora, nonostante i suoi oltre 5.000 abitanti, una città fortezza, con un importante presidio militare e prendere il controllo degli ingressi alla roccaforte vuol dire prendere possesso della città, rovesciare l’ordine costituito, una sfida intollerabile all’autorità. Forse la folla dei ribelli, che col passare delle ore ha ingrossato le sue fila, non ha coscienza della gravità che sta assumendo quell’azione e delle terribili conseguenze che vanno maturando. Piccinelli ha la casa circondata dai facinorosi ed è praticamente loro ostaggio, così si vede costretto a consegnargli le chiavi dei magazzini dove stipa il grano. Ora chi guida i ribelli punta a sbancare tutto il possibile e rivolge il suo attacco alla casa di un altro ricco commerciante algherese, Gaetano Rossi. Sarà il salto di qualità del tumulto, da atto di ribellione estemporanea diventerà una vera e propria insurrezione e il sangue farà la sua tragica comparsa. (continua)


Raffaele Sari Bozzolo

Nessun commento:

Posta un commento